Le tecniche di Additive Manufacturing (AM) producono oggetti di forma anche molto complessa mediante un processo di costruzione a strati, che utilizza una fonte di energia ad elevata densità per consolidare una polvere metallica preventivamente stesa su un supporto piano. Nella loro configurazione più diffusa su scala industriale, la fonte di energia è o un fascio laser (Selective Laser Sintering, Selective Laser Melting) o un fascio elettronico (Electron Beam Melting). Queste tecniche sono state sviluppate inizialmente come tecniche di prototipazione rapida, grazie alla possibilità di produrre oggetti con una libertà di forme praticamente illimitata, senza l’impiego di stampi entro i quali eseguire la formatura, riducendo in tale modo i tempi e i costi di realizzazione degli oggetti stessi. I principali ambiti di applicazione di queste tecnologie sono gli inserti per gli stampi delle materie plastiche (probabilmente la prima applicazione industriale significativa), le protesi biomediche e dentali, i componenti per le macchine di generazione di energia (palette di turbine, ma anche piccole giranti), componenti per l’automobile (sospensioni, organi di trasmissione), gioielli, prodotti del design. L’evoluzione da tecniche di prototipazione a tecniche di produzione ha tratto enorme beneficio dall’ingegneria dei materiali. Nel caso in cui le polveri vengano consolidate per sinterizzazione, è stato necessario gestire il processo di formazione dei cosiddetti colli di sinterizzazione fra le particelle di polvere dosando opportunamente l’energia specifica assorbita dal materiale. Da queste caratteristiche dipendono infatti le proprietà finali del materiale. Nel caso in cui invece il consolidamento avvenga per fusione e risolidificazione della polvere, le maggiori criticità risiedono nella metastabilità della microstruttura e nelle tensioni residue che si sviluppano. Pur con una certa dose di semplificazione, si può affermare che in questo caso il processo sia assimilabile ad una saldatura molto localizzata, che apporta un’elevata quantità di energia in una piccola porzione di materiale (alcune centinala di micrometri cubici) circondata da una notevole massa “fredda”.
Queste tecnologie trovano in Trentino un protagonista di elevatissima qualificazione internazionale nell’Eurocoating SpA di Pergine Valsugana che produce protesi biomediche in lega di titanio e di cobalto da più di dieci anni. Con essa il Laboratorio di progettazione meccanica e metallurgia ha instaurato una collaborazione scientifica praticamente ininterrotta a partire dal 2006, nella quale sono stati coinvolti diversi studenti della Scuola di dottorato del Dipartimento.
La collaborazione è stata inizialmente concentrata sullo studio del processo, dell’effetto dei parametri principali sulla microstruttura dei prodotti in lega di titanio e in lega di cobalto. L’obiettivo principale è stato lo studio dell’anisotropia della struttura in funzione della strategia di costruzione dei pezzi, il controllo delle porosità residue e lo studio delle proprietà meccaniche dei materiali “as-built” e i trattamenti termici necessari per scaricare le tensioni residue e per modificare la microstruttura allo scopo di aumentare la duttilità e la tenacità dei materiali ottenuti sia con SLM che con EBM. Si è trattato di uno studio basato sulla metallurgia fisica, nel quale le conoscenze sulle leghe di titanio e di cobalto sono state applicate ai prodotti di un processo allora poco conosciuto da questo punto di vista. In un progetto successivo, l’attenzione si è concentrata sulla lavorabilità per asportazione di truciolo di questi materiali. Avendo i materiali prodotti con queste tecnologie caratteristiche microstrutturali diverse sensibilmente dai prodotti delle tecnologie tradizionali, la loro lavorabilità alla macchina utensile era poco conosciuta. Un elemento molto innovativo in questo progetto è stato rappresentato dalle lavorazioni a secco o criogeniche, nelle quali il fluido refrigerante convenzionale è sostituito dall’azoto liquido. Questa soluzione si rende necessaria in particolare quando si lavorino protesi aventi una superficie porosa. Questa tipologia di prodotti è ben nota nel campo biomedico, perché la porosità superficiale è realizzata per favorire l’osteointegrazione e la proliferazione cellulare e per evitare i ben noti fenomeni di “stress shielding” che possono causare il riassorbimento osseo. Le tecniche di AM sono particolarmente idonee a realizzare strutture porose superficiali su substrati densi. Queste strutture possono essere realizzate anche con tecnologie alternative, ma l’AM ha il pregio di consentire la produzione di componenti densi con una superficie funzionalizzata porosa in un unico processo. Questa specificità ha costituito la motivazione per un progetto successivo, attualmente in corso, nel quale sono coinvolti i proff. Vigilio Fontanari e Matteo Benedetti, che ha lo scopo di progettare la struttura porosa per massimizzare le caratteristiche funzionali garantendo le proprietà meccaniche richieste dall’esercizio. E’ infatti evidente come le protesi biomediche siano soggette nel corpo umano a sollecitazioni gravose, rispetto alle quali è indispensabile utilizzare un approccio scientifico nella fase di progettazione. E’ infine previsto lo studio del comportamento biologico di questi manufatti, con il coinvolgimento della prof.ssa Antonella Motta.
Si tratta quindi di una collaborazione scientifica pluriennale nell’ambito della quale Eurocoating ha beneficiato del supporto del Laboratorio universitario per lo sviluppo del processo e delle applicazioni, i ricercatori del Laboratorio hanno maturato una profonda conoscenza della tecnologia fino a costituire un riferimento nazionale nel settore (testimoniato da altre collaborazioni industriali in ambiti diversi dal biomedico), e sono state formate delle professionalità specifiche nel settore.
I progetti comunque non si limitano allo studio di queste due tecnologie di AM. Altre si sono proposte recentemente, che possono avere potenziali applicazioni in futuro. Fra queste le tecniche di Laser cladding e di BinderJet 3D printing. I progetti, infine, non sono esclusivamente concentrati sullo studio delle applicazioni, ma prevedono anche una approfondita analisi della fisica dei processi. Solo con la comprensione dei meccanismi responsabili del consolidamento delle polveri è infatti possibile governare i parametri di processo al fine di ottenere i prodotti finali in condizioni di efficienza energetica e con le caratteristiche ottimizzate.
Responsabile: prof. Alberto Molinari
Esempi di oggetti prodotti per Additive Manufacturing.
Eurocoating S.p.A. fa parte dello United Coating Group ed è oggi un’azienda leader a livello europeo nel settore dei trattamenti superficiali (ed in particolare plasma spray) di dispositivi medicali impiantabili e può vantare una riconosciuta presenza nel panorama biomedicale mondiale.
Da dieci anni alla tecnologia del plasma spray si è affiancata la proficua padronanza di processi di Additive Manufacturing, impiegati per la prototipazione e per la produzione in serie di oggetti ad alto contenuto tecnologico.
Il rapporto tra un’azienda dotata di una spiccata vocazione all’innovazione ed il Dipartimento di Ingegneria Industriale non poteva che essere intenso; da qui, un interscambio robusto e continuo consolidatosi nel corso di anni di collaborazione.
Molti dei tecnici attualmente impiegati in Eurocoating sono ingegneri dei materiali laureatisi a Trento e in alcuni casi dottori di ricerca formati all’interno dell’Ateneo. A questo proposito va detto che certamente l’esperienza del dottorato di ricerca fornisce la possibilità di acquisire e mettere in pratica alcune delle competenze specifiche del project management: l’organizzazione della cosiddetta work breakdown structure (WBS), la pianificazione di attività in un arco temporale sia breve che medio-lungo, la gestione delle risorse. Il tutto accompagnato all’approfondimento, dal punto di vista scientifico, di temi che spesso trovano riscontri e applicazioni nella pratica (in campo, ad esempio, industriale o sociale).
Quello del project manager – in Eurocoating ma non solo – non è un ruolo limitato al settore della ricerca e sviluppo (dal quale in ogni modo l’industria moderna, per rimanere competitiva, non può prescindere). La maggior parte delle attività aziendali non routinarie può sostanzialmente essere gestita come un progetto di portata più o meno ampia; in questo senso le conoscenze e competenze acquisite durante un dottorato di ricerca possono fornire una marcia in più e diventare una forza motrice fondamentale per l’azienda.
In questo scenario, oltretutto, la formazione specifica dell’ingegnere dei materiali offre una visione ad ampio spettro che risulta particolarmente adatta ad affrontare (e risolvere) problematiche e criticità che l’utilizzo di tecnologia avanzata porta inevitabilmente con sé.
Spruzzatura al plasma