In un recente passato grande enfasi è stata posta sull’effetto dell’inquinamento ambientale, con particolare riguardo per il traffico veicolare, che effettivamente rappresenta tuttora una questione aperta, vista anche la oggettiva problematicità nei controlli che una sorgente di inquinanti diffusa presenta.

Lo sviluppo di motori con una più elevata efficienza di combustione e la introduzione di filtri catalitici nella marmitte hanno ridotto significativamente alcuni importanti e dannosi agenti inquinanti. In questo quadro stanno altresì guadagnando una rilevanza sempre maggiore altre tipologie di emissioni non direttamente collegate alla combustione interna, bensì dovute a fenomeni altri, quali ad esempio quelli tribologici. L’usura degli pneumatici e dei sistemi frenanti contribuisce attualmente alla emissione in atmosfera di una importante frazione di particolato (PM). Tali fonti di inquinamento sono particolarmente critiche per due ordini di motivi. In primo luogo il buon funzionamento sia di pneumatici sia di freni non può prescindere da un adeguato controllo dei meccanismi di usura dei materiali coinvolti. Inoltre, anche in una prospettiva di medio periodo che vedrà la progressiva diffusione di veicoli a trazione elettrica, gli aspetti in questione, in particolare quelli riguardanti gli impianti frenanti, rimarranno attuali, analogamente a quanto avviene nel trasporto ferroviario. Recenti studi hanno inoltre mostrato che frazioni rilevanti del PM emessa dai sistemi frenanti hanno dimensioni delle particelle assai ridotte (Ultra-Fine Particulate- UFP), ben al di sotto del micrometro e dunque in un intervallo giudicato particolarmente dannoso per la salute umana, vista la capacità di tali particelle di raggiungere le zone più profonde e delicate del sistema respiratorio. Non a caso dunque tra gli obbiettivi proposti dai progetti di ricerca europei del nuovo programma quadro (H2020)  vi è anche quello della riduzione delle emissioni totali di polveri sottili del 47% entro il 2020.

Il DII partecipa al progetto REBRAKE, finanziato dall’Unione Europea con 2 milioni di Euro, e svolto in collaborazione  con la Brembo (azienda leader nella produzione di sistemi frenanti) e il Royal Institute of Technology (KTH) di Stoccolma. Si tratta di un progetto IAPP (Industry-Academia Partnerships and Pathways), attraverso il quale l’Unione Europea promuove collaborazioni dirette tra le industrie e il mondo accademico su specifici programmi di ricerca.

Il Progetto si svilupperà in diverse fasi. Inizialmente saranno raccolte informazioni sulla quantità e le modalità di diffusione nell’ambiente circostante delle particelle prodotte dal consumo di dischi freno e pastiglie. Verranno analizzate polveri raccolte da prove tribologiche di laboratorio e raccolte ai cigli delle strade. A tal riguardo verranno impiegati e ottimizzati metodi di campionamento non convenzionali, particolarmente efficaci per siffatte emissioni, basati sull’impiego di specie vegetali quali aghi di conifere e muschi. Anche la caratterizzazione del particolato richiederà un impiego esperto e innovativo di tecniche di microscopia elettronica, spettroscopia e diffrazione X.

 Il progetto REBRAKE avrà una durata di quattro anni, e coinvolgerà a tempo pieno una ventina tra ricercatori e dottorandi.

I responsabili trentini del progetto sono Giovanni Straffelini e Stefano Gialanella del DII dell’Università di Trento.

Strumentazioni utilizzate per la ricerca

  • Microscopio elettronico a scansione e in trasmissione;
  • Microscopi ottici e metallografici.
  • Diffrattomeri diraggi X
  • Tribometri

Responsabile: prof. Giovanni Straffelini

Polveri sottili